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Quando l'industria stimola la ricerca: il World Technology Summit in California

Un diverso modello per il trasferimento tecnologico sull'inteligenza artificiale, quello proposto dall'IEEE in California. Le tematiche di ricerca sono suggerite da Google, Microsoft e altre imprese tecnologiche.



L'approccio classico nel mondo scientifico e' "il ricercatore individua un tema di ricerca considerando lo stato dell'arte nel suo settore, e l'industria cerca nella ricerca risultati trasformabili in nuovi prodotti". La ricerca vede nell'impresa un supporto economico e la possibilita' di trasferire sul mercato alcuni dei suoi ritrovati. Lo sanno bene i centri per il trasferimento tecnologico (e la valorizzazione della ricerca) di cui si sono dotate universita' e enti di ricerca italiani. Dall'altra parte, questo modello e' anche chiaro a coloro che si occupano nelle imprese di individuare nuove tecnologie e ritrovati scientifici da industrializzare.
E' questo l'approccio migliore per fare innovazione o si puo' migliorare?

L'imprenditore (parlo dell'imprenditore-inventore, quello che crea imprese tecnologiche innovative, non di coloro che rivendono prodotti di terzi o fabbricano prodotti a bassa innovazione), sa bene che il punto di partenza non e' la tecnologia ma piuttosto un bisogno/problema non risolto che hanno in molti o che si piu' risolvere in modo nuovo, piu' economico o piu' performante, spesso usando le tecnologie. E' cosí che sono nate alcune delle imprese di maggior successo. E poiche' un problema e' tanto piu' grande quante piu' persone potrebbero beneficiare dalla sua soluzione, i grandi problemi rappresentano anche grandi opportunita' di mercato e la loro soluzione e' vantaggio competitivo per l'impresa verso la concorrenza.

Riflettendo queste considerazione sul mondo della ricerca si comprende che se si partisse dall'industria, invece che dalla ricerca stessa, nell'evidenziare i temi di ricerca i risultati sarebbero migliori per l'industria e il trasferimento tecnologico avverrebbe in minor tempo. In altre parole, se fosse l'industria a suggerire le tematiche di ricerca, non solo queste rifletterebbero la conoscenza dello stato dell'arte del ricercatore ma anche la comprensione del mercato che l'impresa ha.

Il World Technology Summit dell'IEEE (https://wts.ieee.org) si basa su questo modello. E' la prima conferenza (anche se questo termine le sta stretto) in cui le tematiche da trattare sono suggerite da alcune delle piu' grandi imprese del mondo come Google, Intel, Microsoft, Samsung, e molte altre. I ricercatori sono invitati a partecipare esponendo le loro soluzioni e la loro ricerca a problemi gia' individuati e quindi con un potenziale alto impatto imprenditoriale.

La prima edizione del World Technology Summit (WTS) si terra' a San Jose (California) nel cuore della Silicon Valley a Novembre 2024. Aziende e ricercatori si uniranno per risolvere le sfide tecniche legate alla creazione di prodotti e servizi competitivi, con focus sull'inteligenza artificiale, le sue applicazioni dalla medicina all'intrattenimento e al cibo, e a tutto cio' che e' di corollario per l'implementazione su larga scala come i sistemi di produzione dell'energia o di raffreddamento per i data-center.

Lo sponsor principale del WTS è l'Industry Engagement Committee dell'IEEE, che ha lanciato questa iniziativa in modo che l'industria potesse descrivere le complesse questioni tecnologiche coinvolte nella creazione di prodotti e coinvolgere i ricercatori nella ricerca di soluzioni innovative.

I partecipanti attesi, oltre agli ingegneri interessati alla pianificazione dei prodotti del futuro e coloro che lavorano nel settore del trasferimento tecnologico accademico, sono i membri delle comunità di sviluppo prodotto, marketing e supporto, rendendo l'WTS fucina delle innovazioni del prossimo futuro e luogo di dialogo tra le diverse professionalita' dell'innovazione.

Bruno Iafelice, PhD
IEEE senior member e WTS committee member

L'auto che si guida da sola: la rivoluzione che cambia tutto, anche il lavoro

Le auto a guida automatica sono una realtà a Phoenix in Arizona rompendo barriere sociali e aprendo a nuovi e stili di vita. Una rivoluzione per tutti, in prima fila i 'millennials'.



Il traffico crea il traffico. Non è un gioco di parole. La teoria delle code, inventata nel 1909 dall'ingegnere danese Agner Krarup Erlang, ha trovato la sua massima applicazione nella comunicazione a pacchetto delle reti digitali. Ma non solo. È  alla base dei “Meter”, i semafori che regolano l’accesso alle autostrade americane. Un metodo semplice e geniale: ogni 5-10 secondi un'auto è autorizzata ad entrare nel traffico, riducendo la probabilità che si formino delle congestioni.

L’applicazione di questo principio con le auto a guida autonoma significherebbe 'estremo rigore' e poco traffico. È questo il futuro che ci aspetta e che è dietro l’angolo. Auto che prendono un passeggero, subito dopo aver lasciato quello precedente, e che in maniera ordinata entrano ed escono dal traffico sono già una realtà a Phoenix in Arizona dove da gennaio 2019 attraverso un'app si può avere un passaggio in auto con Waymo One, l'auto a guida automatica della sussidiaria di Google. Una rivoluzione per chi non poteva guidare un'auto e che apre scenari di vita nuovi per tutti. Tempi di percorrenza certi. Niente necessità di trovare parcheggio. Viaggi lunghi, in auto, come già succede in aereo dove un film, un libro o un po’ di riposo permettono di affrontare anche 14 ore di volo.

Un futuro tecnologico in piena crescita. Infatti a Marzo 2020 Waymo per la prima volta ha raccolto fondi fuori di Google: ben 2,25 miliardi di dollari da vari investitori per espandere il servizio in Arizona. Waymo Via è la tecnologia sempre Google per la guida automatica di tir e grandi autoveicoli per il trasporto merci in sperimentazione in alcune aree della California.


Quella della auto a guida autonoma appare come una via già intrapresa dove il successo è solo una questione di tempo. I 'millennials', coloro che sono nati nel primo decennio del 2000, sono meno interessati a guidare e possedere un'auto delle generazioni precedenti. Il consumatore dell'industria automobilistica sta cambiando. Google ha lanciato il suo progetto "Waymo" nel 2009 con la missione di migliorare l'accesso del mondo alla mobilità, salvando migliaia di vite perse a causa di incidenti stradali. Una delle iniziative che Waymo ha creato è "Let's talk Self-Driving", che riunisce un insieme diversificato di comunità, persone e interessi con la convinzione condivisa che questa tecnologia completamente autonoma alimenta un grande potenziale per salvare vite umane, migliorare l'indipendenza e creare nuove opzioni di mobilità.

Le auto oggi passano la maggior parte del tempo ferme. Non è un buon uso. La sharing economy (economia collaborativa) – diventata famosa con Airbnb, Uber, Turo – darà del suo meglio nel settore automobilistico con l’avvento delle tecnologie per la guida autonoma.
Se facciamo una analogia gli smartphone, le auto a guida autonoma potrebbe creare applicazioni oggi inesistenti e non ancora pensare. Infatti come i telefoni iPhone e Android hanno fatto nascere startup e creato professioni nuove intorno al concetto di app e accesso in mobilità alle informazioni, così l'auto autonoma potrebbe essere la piattaforma su cui offrire nuovi servizi di intrattenimento, di mobilità, di logistica e chissà cos'altro.

Affianco ai vantaggi ci sono anche diverse sfide dietro l’angolo. Le prime sono quelle legali. Non tutti gli stati americani la pensano come l'Arizona. La California, dove numerose imprese stanno lavorando in Silicon Valley agli “autonomous driving vehicle”, la DMV – la locale motorizzazione – non consente ancora la presenza su strada di veicoli senza il conducente. I distributori di carburante (tutti senza personale – in self-service, negli USA) dovranno trovare il modo di rifornire i veicoli poiché non ci sarà un conducente che possa estrarre la pistola e fare il pieno. Nuovi posti di lavoro potrebbero nascere e generare una inversione nel modello delle stazioni di benzina.

Uber (recentemente al centro di cause legali avviate dai conducenti – che vogliono esser riconosciuti come lavoratori dipendenti, invece di autonomi) è tra le imprese che maggiormente stanno investendo sui veicoli a guida autonoma preparando un cambiamento senza eguali nel mondo di taxi e auto con conducente. I timori per la contrazione di posti di lavoro si oppongono ai vantaggi sociali creati da queste tecnologie che - ad esempio - consentirebbero a non vedenti e persone anziane di utilizzare autonomamente un'auto.
Imprenditori e imprese dovrebbero immaginare una ricollocazione della forza lavorativa per coprire le nuove necessità di prodotti e servizi aperte da questo mercato. 


L’Europa sarà in prima fila – dicono gli esperti della Silicon Valley – nell’acquisire queste tecnologie per la già ampia diffusione di mezzi di trasporto pubblico su gomma. L’impatto della nuova tecnologia coinvolgerà anche le case automobilistiche (meno veicoli per numero di abitanti e meno persone vorranno possedere un’auto), le assicurazioni (meno incidenti), meno manutenzione e più specializzata (i computer guideranno in maniera più ordinata riducendo logorii del motore e parti meccaniche, quindi la manutenzione sarà inferiore sulle parti in movimento ma più specializzata su sensori, azionamenti robotici, elettronica e software).

La ricerca sull'intelligenza artificiale ha fatto grandi progressi negli ultimi 10 anni. Tuttavia, ci sono ancora diversi problemi che devono essere superati e lavoro da fare in numerosi settori. Alcuni dei limiti sono piuttosto evidenti: la maggior parte di strade al mondo sono ben lontane da quelle dell'Arizona, simili in Italia poco più che solo alle autostrade, e caratterizzate spesso da carenze in segnaletica, manto stradale difforme e conformazione irregolare. C'è bisogno di interventi strutturali insieme a miliardi di ore di guida reale per accumulare dati e "insegnare" all'intelligenza artificiale un buon comportamento di guida in tutte le situazioni. General Motors, Toyota e Honda hanno dichiarato che avrebbero prodotto auto a guida autonoma entro il 2020, e questo era previsto anche da Tesla, ma stiamo ancora aspettando. Evidente che ci sono necessità ancora non risolte, quindi opportunità per imprese e lavoratori che vogliono cimentarsi nel settore.

Si tratta di una quantità enorme di cambiamenti all’orizzonte – si mormora che la tecnologia sarà stabile a breve, nel 2021. E' la rivoluzione di una delle industrie più grandi del mondo. La parola “novità” è spesso intesa come sinonimo di paura, ma non possiamo ignorare l’incredibile numero di opportunità imprenditoriali che si apriranno. A noi la scelta. Lottare contro il cambiamento, o anticiparlo, dominarlo e trarre vantaggio dall’inevitabile.


Bruno Iafelice

Robot e umani a braccetto per costruire il lavoro del futuro

Il progresso tecnologico e la globalizzazione incidono in modo decisivo sul mercato del lavoro. Quali sono le implicazioni dell'intelligenza artificiale?



Secondo la legge di Moore – che ha preso il nome da Gordon Moore, cofondatore di Intel – la potenza di un microprocessore «raddoppia ogni 18 mesi e quadruplica quindi ogni 3 anni». In sostanza un chip dei nostri giorni è circa 70 miliardi di volte più potente di quello degli anni 70. E fra una decina d’anni sarà migliaia di miliardi di volte superiore a quello attuale e di dimensioni sempre più ridotte. Se a questo si aggiungono i progressi attraverso l'intelligenza artificiale, il riconoscimento vocale, le nanotecnologie e la robotica in generale, gli esperti si aspettano la scomparsa del 60% degli attuali posti di lavoro. Quelli più penalizzati saranno i lavori manuali e intellettuali-esecutivi che verranno assorbiti dalle macchine o trasferiti nei Paesi emergenti.

Ma sarebbe un errore concentrarsi solo sulle conseguenze negative di questa rivoluzione globale e combatterla. Si tratta di rivoluzioni cicliche non troppo diverse ad esempio da quella che ha sostituito negli anni ‘70 le centraliniste con la commutazione automatica delle telefonate, o ha fatto sparire mestieri come gli spazzacamini. 

Nuovi spazi per il lavoro

Oggi il lavoro rappresenta in tutto il mondo uno dei problemi cruciali perché il suo mercato è in crescente squilibrio. Le statistiche sull’occupazione e la disoccupazione variano di giorno in giorno e da fonte a fonte, e i rimedi cui ricorrono i diversi governi non sempre risultano efficaci. È opportuno quindi soffermarsi un attimo sugli effetti dell'automazione sulle professioni e sui numeri legati al progresso tecnologico.
Se vent’anni fa occorrevano 60.000 operai per costruire un milione di automobili, oggi, grazie ai robot e ai nuovi sistemi organizzativi, ne bastano 20.000. 
Come ha calcolato l'economista e ex presidente di Nomisma, Nicola Cacace, nel 1891, quando la popolazione italiana era meno di 40 milioni, in un anno si lavorava per un complesso di 70 miliardi di ore. Cento anni dopo, nel 1991, gli italiani erano diventati 57 milioni ma lavoravano solo 60 miliardi di ore, eppure riuscivano a produrre ben tredici volte di più. Nel 2016 gli italiani sono diventati 61 milioni, hanno lavorato 40 miliardi di ore e hanno prodotto il 59% in più, essendo il Pil salito dai 1.268 miliardi di dollari del 1991 ai 2.142 miliardi del 2016.

«Fra dieci anni – spiega il sociologo Domenico De Masi nel libro Lavoro 2025. Il futuro dell'occupazione (e della disoccupazione), ed. Marsilio, 2017 – gli abitanti del pianeta saranno 8 miliardi: un miliardo più di oggi. Nel frattempo la potenza dei microprocessori sarà diventata centinaia di miliardi di volte superiore a quella attuale, i robot avranno sostituito molti operai, le macchine digitali molti impiegati e l'intelligenza artificiale parecchi creativi. Se a questo sviluppo tecnologico si aggiunge l'avanzata via via più rapida della globalizzazione, ci si rende conto che riusciremo a produrre sempre più beni e servizi con sempre meno lavoro umano».

Macchine che pensano cose

Il problema dell'automazione e l'idea che stia portando via lavoro, non è affatto nuovo. Ma il dibattito, come ha fatto notare James Manyika, senior partner di McKinsey & Company, durante una conversazione organizzata da McKinsey Global Institute (MGI), si è surriscaldato negli ultimi tempi probabilmente per un paio di macro motivi. «Negli ultimi anni, abbiamo assistito a progressi abbastanza straordinari raggiunti con l'intelligenza artificiale, i sistemi autonomi e la robotica. Negli ultimi 5 anni abbiamo fatto più progressi in alcuni sistemi di quanto non abbiamo visto negli ultimi 50 anni». In passato “automatizzare” un processo produttivo significava fondamentalmente aggiungere un muscolo o un braccio meccanico a ciò che le persone già facevano.
«Oggi – prosegue Manyika – abbiamo realizzato macchine che oltre ad aggiungere muscoli o automatizzare compiti di routine, fanno cose completamente nuove e diverse. Abbiamo a che fare con macchine che stanno effettivamente imparando a fare qualcosa, stanno scoprendo modelli, stanno scoprendo le cose stesse».

Questo grazie ai progressi compiuti dalle tecniche algoritmiche, alla quantità di potenza di calcolo dei computer (alle CPU [unità di elaborazione centrale] classiche, sono state aggiunte le GPU [unità di elaborazione grafica]); alla disponibilità di dati che le persone ogni giorno producono e che vengono “ospitati” nei grandi server. Dalla riduzione dei tassi di errore alla capacità di fare meglio le previsioni, fino alla possibilità di scoprire nuove soluzioni o intuizioni, i vantaggi per le imprese che decidono di investire in intelligenza artificiale sono difficili da ignorare. Così come è difficile contestare i benefici per gli utenti singoli: siamo diventati sempre più a nostro agio grazie alla tecnologia, sia nell'assistenza per il riconoscimento vocale che in altre tecniche utili. I vantaggi dell'intelligenza artificiale sono chiari: agli utenti, all'economia e alle imprese. 

Per affrontare gli effetti e le opportunità dell'automatizzazione nel mercato del lavoro, bisogna essere capaci di rispondere ad altre domande: cosa costerà sviluppare e implementare queste nuove tecnologie? In che modo giocherà nelle dinamiche del mercato del lavoro in termini di costi relativi per far sì che le persone lo facciano? Qual è la disponibilità di persone che possono svolgere questo compito al posto di una macchina? Come garantire la qualità anche nei lavori automatizzati? Quali saranno le competenze richieste alla forza lavoro? Tutti interrogativi a cui si cercherà di dare una risposta nei prossimi anni. Intanto non mancano i segnali incoraggianti.

“Se avessi chiesto alla gente cosa voleva, mi avrebbero detto cavalli più veloci” disse Harry Ford agli scettici sul successo delle automobili. I cambiamenti e il progresso tecnologico non si possono cambiare. Si possono invece comprendere e non farsi travolgere anticipando quello che succederà.
Bisogna guardare un po’ più in là e immaginare il futuro. Cosa che può fare solo l’uomo.

L'AI nella lotta contro COVID-19

Mentre il mondo sta affrontando una pandemia globale causata dal virus COVID-19, ogni oncia di innovazione tecnologica e ingegnosità sfruttata per combattere questa pandemia ci porta ad un passo nel progresso scientifico-tecnologico. L'intelligenza artificiale e l'apprendimento automatico stanno svolgendo un ruolo chiave per comprendere e risolvere la crisi sanitaria: i computer consentono di elaborare (si dice machine learning) grandi volumi di dati per identificare rapidamente schemi e verificare intuizioni dei ricercatori. Le aree dove le competenze di machine learning stanno dando i risultati migliori sono: comprendere come si diffonde COVID-19 e confrontare diverse terapie.

La tecnologia sta anche giocando un ruolo importante nel supportare la comunicazione e il lavoro in remoto, abilitare la telemedicina, e fare prevenzione. Lo screening senza contatto, ad esempio, è fondamentale. 
La startup francese Clevy.io ha usato la tecnologia cloud AWS (Amazon) per creare un chatbot (robot che risponde alle domande in chat) per fornire chiarimenti sulle misure attivate dal governo francese per contrastare il COVID-19. Alimentato da informazioni in tempo reale fornite dal governo di Parigi e dall'Organizzazione mondiale della sanità, il chatbot valuta anche i sintomi riferiti dal paziente. Con quasi 3 milioni di messaggi inviati fino ad oggi, il chatbot della Clevy.io è in grado di rispondere a domande su qualsiasi cosa alleggerendo i centralini delle strutture sanitarie. Le città francesi di Strasburgo, Orléans e Nanterre stanno usando il chatbot per decentralizzare la distribuzione di informazioni accurate e verificate.

L'apprendimento automatico sta inoltre aiutando i ricercatori ad analizzare grandi volumi di dati per definire sistemi atti a prevedere la diffusione di future pandemie e identificare le popolazioni più vulnerabili. La Chan Zuckerberg Biohub in California ha creato un modello per stimare il numero di infezioni COVID-19 che non vengono rilevate e le conseguenze per la salute pubblica in 12 regioni campione scelte in tutto il mondo. Utilizzando l'apprendimento automatico in collaborazione con le tecnologie diagnostiche di AWS (Amazon), hanno sviluppato nuovi metodi per quantificare le infezioni non rilevate, analizzando come il virus si muta mentre si diffonde attraverso la popolazione per dedurre quante trasmissioni sono state perse.

I fornitori di servizi sanitari e i ricercatori si trovano ad affrontare un volume esponenzialmente crescente di informazioni sul coronavirus che difficilmente potrebbero essere considerate da un cervello umano e generare intuizioni. AWS ha lanciato CORD-19 Search, un sito web che sfrutta tecnologie di apprendimento automatico per aiutare i ricercatori a identificare tra i tanti rapporti di ricerca e pubblicazioni scientifiche quelle più pertinenti a una determinata ricerca. La tecnologia è in grado di estrarre informazioni mediche rilevanti da testo non strutturato e offre solide capacità di query in linguaggio naturale, contribuendo ad accelerare il ritmo delle scoperte.

Quelli citati sono alcuni esempi delle numerose attività in corso che impiegano l'intelligenza artificiale nella lotta contro il COVID-19, una delle più promettenti barriere contro questo invisibile nemico.


Paolo Tomassone* e Tijana Kovijanic
*analisi originale di Paolo Tomassone del 2018 aggiornata a Luglio 2020.

Imparare dai fallimenti (milionari) sui robot sociali

Dall'aspirapolvere all'assistente personale. Grazie all'intelligenza artificiale i primi esemplari di robot entrano nelle case generando una innovazione a cui non tutti sono pronti.



Robot personali domestici stanno iniziando a rotolare fuori dal laboratorio per entrare nei nostri salotti e nelle nostre cucine. Ma gli esseri umani sono pronti a farli entrare nella loro vita?
Ci sono voluti decenni di ricerca per costruire robot anche molto meno sofisticati di quelli dei film di fantascienza. Non assomigliano agli immaginari predecessori; la maggior parte di loro non cammina, qualche volta rotola e spesso non ha gli arti. E non sono nemmeno lontanamente in grado di eguagliare la lingua, le abilità sociali e la destrezza fisica delle persone. Peggio ancora: finora stanno perdendo nella partita contro gli altoparlanti intelligenti immobili prodotti da Amazon, Apple e Google, che costano decisamente meno e sono alimentati da sistemi di intelligenza artificiale che quasi umiliano le capacità limitate di molti robot.

Questo non ha impedito ad alcuni ambiziosi produttori di lanciare sul mercato robot realistici, anche se finora con risultati contrastanti. Due pionieri di una nuova avanguardia di robot “carini” e “socievoli” – Jibo, un oratore parlante (un po' goffo), e Kuri, una “tata” a ruote come quella dei cartoni animati – sono stati i primi a scendere in campo, ma anche a cadere a terra. Vector è un robot domestico meno costoso - presentato a metà 2018 a San Francisco. Altri ancora – tra cui quello a cui starebbe lavorando Amazon – sono robot progettati per fornire compagnia agli anziani, ma sono ancora solo in fase di sviluppo. Nel 2018 in una intervista all'agenzia stampa Associated Press, Vic Singh, socio fondatore di Eniac Ventures, che ha investito in diverse startup di robotica, ha dichiarato «Penso che quest'anno cominceremo a vederli sul mercato. Ma saranno limitati a usi molto specifici».

L'intelligenza artificiale ha fatto diversi progressi dalla nascita di Jobo, Kuri e Vector ma ancora non ci sono grandi successi di mercato. Le speranze per i robot in grado di socializzare cercano di tenere il passo con la realtà. Alla fine del 2017 Jibo, quasi privo di funzionalità, ha abbellito la copertina dell'edizione "best inventions" del Time. Il suo creatore, Cynthia Breazeal, ricercatrice di robotica del MIT, all'epoca dichiarò sempre all'AP che «ci sarà un momento in cui tutti daranno per scontato un proprio robot personale». Quel tempo non è ancora arrivato. Jibo, un dispositivo alto poco più di una spanna, con una vaga forma conica e un'ampia "testa" sferica, è stato progettato per rimanere lì dove lo si mette, quindi su una scrivania o piano di lavoro. Ma può ruotare la sua "faccia" per incontrare lo sguardo del suo padrone; racconta barzellette e suona musica; e può vibrare in modo convincente se gli chiedi di ballare. È stato presentato come «il primo robot sociale del mondo per la casa». A quasi 900 dollari, però, Jibo non ha ancora potuto trovare tanti amici umani. È ancora in vendita online, ma la sua casa madre ha licenziato gran parte dei lavoratori e fine 2018 non risponde alle richieste degli utenti su Internet.



Anche la Mayfield Robotics, con sede in California, ha cessato di produrre Kuri, una macchina da 699 dollari che avrebbe scattato foto e video da telecamere nascoste dietro i suoi occhi rotondi e lampeggianti ma che alla fine ha avuto poca utilità. Altri robot domestici, come l'assistente personale Temi (1.499 dollari) e il cane di Sony Aibo (1.800 dollari), sono ancora meno accessibili. «Non si può vendere per 800 dollari o 1.000 dollari un robot che ha capacità inferiori a quelle di Alexa (il device di Amazon, ndr.)», ha detto Boris Sofman, CEO di Anki, prima del lancio di Vector, dalle sembianze di un animale domestico. Promettendo un futuro robotico che vada al di là di «aspirapolvere a forma di pozzo e altoparlanti cilindrici statici». In vendita a poco meno di $200 e grande quanto una mano, Vector potremmo descriverlo come una interfaccia mobile per accedere ad Amazon Alexa.
Il suo fratello minore, il grintoso robot giocattolo Cozmo è invece pensato per i bambini. Vector può rispondere a domande di base, impostare un timer o consegnare messaggi da e-mail e testi e fa le fusa quando si strofina la sua schiena color oro.

I robot personali discendono dall'umanoide interattiva chiamata Kismet, che Breazeal ha costruito in un laboratorio del MIT negli anni '90. Da allora, i progressi dell'intelligenza artificiale hanno spinto in avanti questa nicchia di prodotti. La popolarità di Alexa, e del suo genere, ha anche aiutato ad eliminare quella stranezza che ha sempre contraddistinto le macchine parlanti. La chiave di svolta per Vector e gli altri robot “da compagnia”, secondo gli esperti, è quella di trovare il giusto equilibrio tra utilità e personalità (oltre all'accessibilità, uno dei fattori altrettanto importante). Anche se tra gli innovatori e gli ingegneri c'è disaccordo su come raggiungere il giusto equilibrio.

«È meglio avere poca personalità, ma essere perfetti – ha spiegato Sofman – perché nel momento in cui commetti un errore, sarai quel grande robot che fa un errore». Il cliente può perdonare gli errori, purché il robot reagisca in modo realistico. Anki per questo motivo ha assunto animatori della Pixar e DreamWorks per dare carattere a Cozmo e Vector. La startup israeliana Intuition Robotics ha coinvolto il famoso designer Yves Behar per aiutare a creare l'aspetto di ElliQ, che è stato progettato per fare compagnia agli anziani. Il robot, con la diffusione del COVID-19 è stato reso disponibile in tutti gli stati americani con l'auspicio di fornire un supporto ai tanti anziani a casa.

Più che essere “carino”, ElliQ punta alla “calma”. Progettato per sedersi su un tavolino, il robot ha la forma di una lampada da tavolo arrotondata con una luce che risplende dall'interno della testa in plastica trasparente. Ruota frequentemente, indirizzando l'attenzione alla persona con cui sta parlando, e ha uno schermo adiacente per mostrare foto o messaggi di testo.

Molti ricercatori dicono che i robot sociali sono molto promettenti nell'aiutare una popolazione che invecchia. Tali robot potrebbero ricordare agli anziani di prendere medicine, indurli a alzarsi e spostarsi o visitare gli altri, e aiutarli a rimanere in contatto con la famiglia e gli amici. Affinché i robot possano raggiungere tutte le età, però, hanno bisogno di dimostrarsi utili, ha detto James Young, un ricercatore del laboratorio di interazione uomo-macchina dell'Università di Manitoba.

«La chiave di tutto è che il robot possa aiutare l'anziano nella sua solitudine, lo possa aiutare per compiti semplici come cucinare – ha detto Young –. Una volta che le persone sono convinte che qualcosa è utile o che in realtà gli fa risparmiare tempo, si adatteranno senza fatica».

Dalla storia dei robot sociali impariamo una grande lezione: che “fallire” significa tentare ed imparare; e che solo una serie di tanti piccoli fallimenti possono portare all'ideazione del prodotto giusto, alla creazione di qualcosa di funzionante.

Paolo Tomassone*

*Articolo originale aggiornato ad Aprile 2020.

L'innovazione tecnologica avanza nel mondo della giustizia



Da tempo anche nel settore legale - caratterizzato da processi non automatizzati, molto "artigianali" -
si lavora alla digitalizzazione. Quello delle professioni legali è, infatti, uno dei settori dove logica e algoritmica possono trovare applicazione.
In fondo un contratto altro non è che la sequenza di clausole, ben legate tra loro, che traducono in termini legali le esigenze delle parti. Una struttura non troppo diversa da quella di un software per computer.
Già una decina d'anni fa in Silicon Valley, il docente di Stanford Mark Lemley iniziò a progettare un software in grado di gestire le controversie legali sulla proprietà intellettuale. Da quell'idea nacque Lex Machina, un software in grado di analizzare lo storico di migliaia di cause per individuare la "miglior strategia processuale", rimpiazzando di fatto il lavoro di routine degli avvocati. A utilizzarlo non furono solo gli studi legali, ma anche grandi società come eBay, Microsoft o Shire Pharmaceutical.

Ultimamente si stanno sperimentando e realizzando applicazioni concrete di intelligenza artificiale che aiuteranno ancora di più gli avvocati nell'attività quotidiana.

Infatti, una delle sfide davanti alla quale si scontrano quotidianamente gli avvocati è quella di riuscire a "navigare" in breve tempo, con precisione e qualità all'interno di moli di documenti, e trovare correlazioni tra tutte le informazioni raccolte. Quest'attività richiede un team di tante persone, con competenze diverse, che lavorano per ore.

In soccorso agli studi legali sono arrivati i primi software che utilizzano l'intelligenza artificiale e che permettono di leggere moltissimi documenti a una velocità molto maggiore rispetto a quella dell'uomo. Si tratta di sistemi che impiegano algoritmi pensati e disegnati con uno schema logico simile a quello che potrebbe applicare l'avvocato, e che vengono "allenati" attraverso l'apprendimento automatico grazie a un loro uso frequente.

L'utilizzo di questi software sarà sempre più determinante nelle grandi operazioni, come per esempio le fusioni o le acquisizioni di aziende, nella gestione dei contenziosi e nel compliance, tutte attività che ora richiedono il lavoro di mesi di un team di decine avvocati.
I vantaggi per gli studi legali saranno evidenti: velocità nelle operazioni, risparmio di tempo - e di conseguenza risparmio di denaro - e accuratezza nel lavoro degli avvocati che potranno così concentrarsi solo sugli aspetti più complessi dell'attività legale, dove occorre più intelligenza ed esperienza e dove la macchina non è in grado di arrivare.

In futuro, come spiegano gli esperti, l'aspetto più importante della rivoluzione digitale sarà l'impiego di "contratti smart", attraverso i quali le parti interessate in un contratto, anziché fare complesse negoziazioni con i propri legali - con tutte le complicazioni e i costi del caso - utilizzeranno il software ognuno dal proprio lato per inserire le proprie aspettative; il software potrà quindi guidarle nel creare il contratto che compone gli equilibri e crea un accordo. Quello che ora fa l'uomo, in futuro sarà automatizzato, anche attraverso il sostegno della tecnologia blockchain che offrirà una garanzia delle operazioni effettuate.

Per esplorare le novità in questo settore, l'istituto californiano TVLP assieme a ICT Legal Consulting, uno dei più innovativi studi legali europei, ha deciso di ideare una borsa di studio per promuovere l’innovazione nel settore Legal Tech e accompagnare gli imprenditori, i manager e i professionisti più talentuosi potranno perfezionare un progetto imprenditoriale in California e acquisire conoscenze di imprenditorialità tecnologica durante uno dei programmi del TVLP Institute di primavera ed estate.

I robot aprono nuovi orizzonti nell'edilizia



Quando era adolescente e lavorava per l'impresa di costruzioni di suo padre, Noah Ready-Campbell sognava che i robot potessero sostituirlo nelle parti "sporche" e noiose del suo lavoro, come per esempio nello scavo e nel livellamento del terreno. Ora Ready-Campbell, dopo un'esperienza come product manager a Google, sta trasformando questo sogno in realtà con Built Robotics, una startup che sviluppa la tecnologia per consentire a bulldozer, escavatori e altre macchine da costruzione di operare da sole. «L'idea alla base di Built Robotics è quella di utilizzare la tecnologia di automazione per rendere una costruzione più sicura, veloce ed economica» spiega Ready-Campbell, mentre osserva un cantiere dove alcuni piccoli bulldozer sono intenti a spostare cumuli di terra.

Anche in uno dei settori meno innovativi, come quello dell'edilizia, è in corso una trasformazione con l'impulso dell'automazione. A San Francisco, per esempio, diverse start-up tecnologiche, sostenute dagli investitori, stanno sviluppando robot, droni, software e altre tecnologie per aiutare il settore edile ad aumentare la velocità, la sicurezza e la produttività.



Anche l'Italia sta rimanendo al passo. Lo hanno dimostrato gli inventori di "BigDelta", una stampante gigante alta 12 metri in grado di costruire case. «Questa speciale stampante - spiega Massimo Moretti, fondatore di Csp, Centro Sviluppo Progetti, che abbiamo incontrato un po' di tempo fa in occasione di uno degli eventi Brainstorming Lounge in Italia - è stata progettata per essere montata da tre persone nel giro di un’ora e, al momento, stiamo lavorando affinché sia sufficiente una persona sola. Il progetto non è la stampante, è il processo. Ciò che ci interessa sviluppare è una macchina in grado di stampare case con materiali reperiti sul territorio, che sia adattabile a qualsiasi tipo di contesto ambientale, trasportabile e assemblabile facilmente, che richieda il minor quantitativo di energia possibile o meglio, che sia in grado di autoalimentarsi».

Per garantire una crescita economica, come sostiene Michael Chui, uno dei partner del McKinsey Global Institute di San Francisco «abbiamo bisogno di tutti i robot che possiamo ottenere, da affiancare a tutti gli altri lavoratori. Le macchine hanno iniziato a svolgere parte di lavori che in passato svolgevano soltanto le persone; ora le persone devono migrare e passare ad altre forme di lavoro. E' questo il senso della riqualificazione» del lavoro.

I lavoratori della Berich Masonry di Englewood, in Colorado, hanno impiegato diverse settimane per imparare a utilizzare un robot per la muratura, chiamato SAM, acronimo di Semi-Automated Mason, una macchina da 400.000 dollari prodotta dalla Construction Robotics con sede a New York. SAM può posare circa 3.000 mattoni durante un turno di otto ore, molte volte di più di un muratore che lavora a mano. Attraverso il suo braccio meccanico raccoglie i mattoni, li ricopre di malta e li colloca con cura per formare, per esempio, il muro esterno di una nuova scuola elementare. Intanto, lavorando su un'impalcatura, gli operai possono caricare la macchina con i mattoni e raschiare la malta in eccesso lasciata dal robot.

L'obiettivo, ha detto il presidente della società, Todd Berich, è quello di utilizzare la tecnologia per acquisire nuovi lavori e soddisfare i clienti: «In questo momento devo dire dei "no" perché non abbiamo abbastanza risorse». I suoi dipendenti non si sentono minacciati e nemmeno l'Unione Internazionale dei muratori e degli artigiani vedono con preoccupazione l'introduzione dei robot nell'edilizia: «Ci sono molte cose che macchine come SAM non sono in grado di fare e che bisogna fare con muratori esperti - ha detto il direttore dell'associazione Brian Kennedy -. Sosteniamo tutto ciò che sostiene l'industria edile. Non vogliamo essere d'intralcio alla tecnologia».



Sono quindi i robot a soccorrere l'industria delle costruzioni che si trova ad affrontare una grave carenza di manodopera. Secondo una recente indagine condotta dall'Associated General Contractors of America, infatti, il 70% delle imprese di costruzione ha difficoltà a trovare lavoratori qualificati. Per paradosso, risulta più facile trovare un progettista che un manovale. «In questo momento stiamo veramente faticando a trovare persone qualificate che possano maneggiare un autocarro o persino far funzionare un impianto», ammette Mike Moy, responsabile di uno stabilimento minerario alla Lehigh Hanson. «Nessuno vuole più sporcarsi le mani; tutti cercano un lavoro bello e pulito in un ufficio». Nello stabilimento minerario della sua azienda a Sunol, in California, Moy sta risparmiando tempo e denaro utilizzando un drone per misurare i giganteschi cumuli di roccia e sabbia che la sua azienda vende per il settore dell'edilizia. Quello che un normale impiegato riusciva a misurare in una giornata di lavoro, ora il drone è in grado di farlo in 25 minuti. In aggiunta a questo la macchina può raccogliere molti più dati e molto più precisi, disegnare mappe, rilevare terreni danneggiati o anomali.

Alla Built Robotics, Ready-Campbell, fondatore e CEO dell'azienda, prevede il futuro del lavoro di costruzione come una partnership tra gli esseri umani e le macchine intelligenti.  «I robot fanno fondamentalmente l'80% del lavoro, che è più ripetitivo, più pericoloso, più monotono. E poi l'operatore fa il lavoro di qualità, dove c'è davvero bisogno di molta esperienza».


Paolo Tomassone